Risalendo dal porto, a piedi, un chilometro e mezzo di stradine e case fitte fitte, si arriva a un luogo che è un andare e venire di salite e discese, di sentieri, alberi, boschi, prati, costruzioni del tempo; un luogo appartato che è un alternarsi e arroccarsi di verdi – diverse sfumature di verde. Da un lato strapiomba sul mare; per il resto è circondato da case, tetti, muri, vie. Appare come un’oasi, un polmone che respira, su cui confida tutta la città.
Visto dall’alto, seguendo i contorni disegnati sulla mappa, sembra un occhio aperto, verde naturalmente, che punta diritto al cielo. Ma ha anche la libertà di volgersi verso nord/nord-est e, da qui, dove la falesia è fragile e sottoposta a continue erosioni, può allungare lo sguardo e battere l’orizzonte del mare fino alle coste croate.
Come tutte le cose più belle di Ancona, non esistono spazi da cui si può vedere bene. Bisogna cercarlo e trovare il proprio percorso per raggiungerlo. Studiarlo prima su una cartina, forse, è il modo migliore per avvicinare questo pezzo di città in forma di natura.
È uno degli ombelichi di Ancona. Si chiama Cardeto, dal nome della pianta che un tempo vi cresceva in abbondanza, il cardo. È un parco. Anzi, qualcosa più di un parco: uno spazio libero dal tempo, dagli affanni, dai traffici. Con fortificazioni, polveriere, laboratori pirotecnici, ex caserme, ruderi, vecchi monasteri, cimiteri, imponenti bastioni cinquecenteschi con miriadi di cunicoli sotterranei e un faro, il vecchio faro di Ancona. Si estende per 35 ettari fra due sommità, Colle Cappuccini e Monte Cardeto, e tocca tre rioni della città.
Vasto, accogliente, è al tempo stesso un luogo intimo e segreto. Persino misconosciuto. Non è facile individuarlo. Non appare subito con clamore, lo si scopre a poco a poco percorrendolo, passo dopo passo, una volta superato uno dei cinque ingressi.
Al suo interno c’è il cimitero ebraico, il Campo del Ebrei, come è chiamato, con i cippi bianchi che spuntano fra l’erba. È uno dei più ampi d’Europa, fascinoso per l’ambiente in cui si trova, rivolto a oriente, al sorgere del sole, secondo tradizione, e affacciato sul mare. È sorto tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. Il primo atto ufficiale del 1428 è un documento con cui il Senato della Repubblica di Ancona concede un terreno fuori porta da destinare a cimitero. Le tombe che si incontrano sono datate fra il 1590 e il 1863.
A seconda delle stagioni, se i tagli d’erba e le potature azzardate non hanno fatto disastri, si può godere della fioritura dei narcisi, delle orchidee, dei colchici e delle anemoni.
Gli abitanti della città lo amano molto, ma lo conoscono poco. In fondo, sono ancora tutti in attesa che il Cardeto prenda vita, combattuti tra il fascino che il luogo rimanga intatto, selvatico, romantico, e la suggestione che possa rivivere con alcuni interventi per favorire il turismo e la frequentazione. E però, in questo affettuoso abbandono, come qui sostano al tramonto certi cieli nostalgia, non esiste un altrove che possa accoglierli meglio: anch’essi diventano oasi.
di Gian Luca Favetto