Vent’anni fa
E’ il 2001, l’Italia trionfa a Cannes con “La stanza del figlio”, regia di Nanni Moretti, scenografia magistrale di Giancarlo Basili, musiche di Nicola Piovani, ventitre anni dopo “L’albero degli Zoccoli” di Ermanno Olmi, la Palma d’Oro, un riconoscimento tra i più ambiti e prestigiosi.
Protagonista una famiglia, protagonista una città. Difficile dimenticare quella corsa al Viale fin giù al porto, quel petto in fuori che si espone alla vita di un padre e di un figlio, difficile non cedere al pianto col canto all’unisono in macchina prima che tutto accada. Ancona e il suo porto non furono una location ma l’elemento narrativo, il sottosuolo misterioso delle coincidenze, l’architrave del linguaggio cinematografico. La luce adriatica ha fatto il resto – densa e leggera, cupa e metafisica. Dopo “Ossessione” di Luchino Visconti (1943) e “La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli (1968) con Monica Vitti omaggiata sul muro interno della Lanterna Rossa – sarà il film di Nanni Moretti a cogliere pienamente l’aderenza del film allo spirito del luogo. Così oggi la corsa quotidiana dei runner è un tutt’uno con i fotogrammi di Beppe Lanci, e le diagonali invisibili del film sono le trame sensibili della città che connette le sue parti. Oltre la rappresentazione che ha celebrato la morbida bellezza di Ancona, è impossibile non accostare alla storia l’epopea del viaggio e del porto nella sua dimensione esistenziale, crocevia di rilasci e approdi, metafora di slanci libertà e solitudini, tra l’andirivieni di navi, traghetti e pescherecci, gli arrivi e le partenze, le bitte e le banchine.
Testo: Cristiana Colli