Diario di una scrittrice inglese in Italia (1873-1885).
«La cappellanìa si chiamava San Venanzo ed era in cima a una collinetta da cui si godeva un favoloso panorama, dai Sibillini all’Adriatico, dal monte Conero al Gran Sasso. Margaret vi arrivò su un carro ornato di bei disegni a vivaci colori, tirato da una coppia di buoi bianchissimi, dentro il quale era stata legata una sedia impagliata: le strade non consentivano il passaggio di carrozze a cavalli. Il bell’italiano ch’era suo marito, allora tenero e innamorato, aveva sistemato un po’ la diroccata canonica tenendo presente la predilezione della giovane sposa per il bianco: bianchi erano i due cavalli da sella dell’Erzegovina, bianchi i grandi cani pastori dei Sibillini, dal lungo pelo, che facevano la guardia; bianco il gatto angora e bianchi i tacchini, le oche, i conigli, le galline livornesi; e bianchi i fiori, il gelsomino arrampicato sui muri, i giacinti i narcisi e le violacciocche nelle aiuole, le yucche dagli alti fusti, l’acanto nel boschetto e sotto le siepi. Innamorata ma sempre implacabilmente inglese, Margaret si dette molto da fare per trasformare una cappellanìa marchigiana in qualcosa che somigliasse a una residenza britannica di campagna; ed essendo riuscita solo a metà, il risultato era singolare e pieno d’incanto».
Dall’introduzione di Joyce Lussu