Il porto oltre ad essere nodo di reti e flussi, è una grande fabbrica a cielo aperto, una rete del valore che ha nel manifatturiero il suo punto di forza riconosciuto. Nocciolo industriale ne è la cantieristica, settore che su Ancona vantava a fine 2018 3.686 addetti, il 56,4 % dell’intera forza-lavoro portuale. Una filiera che ha due anime: la grande fabbrica con Fincantieri, ma altrettanto rilevante per proiezione nel mondo, la cantieristica d’eccellenza con produzioni sartoriali e d’alta gamma e un modello di business centrato su nicchie globali di prodotto totalmente customizzato, da CRN a Isa Yacht, passando per Cantiere delle Marche e Wider. Un pezzo di made in Italy incastonato nel porto, atelier produttivi organizzati come imprese-rete postfordiste, con pochi addetti diretti nelle funzioni direttive e di design, ma forti di reti di fornitura e montaggio dense di saper fare nel retro-fabbrica territoriale, e reti lunghe a presidiare i mercati globali. I cantieri della nautica di lusso, sono un esempio di capitalismo intermedio a saldo controllo famigliare, capace di assemblare tecnologie industriali a qualità e processi produttivi artigianali. Di fatto, i cantieri sono luoghi di progettazione e assemblaggio, tutte le componenti costruttive dallo scafo alla domotica, sono prodotte da una filiera consolidata caratterizzata da un rapporto stabile, fiduciario e captive con le PMI e imprese artigianali della filiera. Un cluster produttivo che non ha solo bisogni logistici o di servizi portuali, ma soprattutto di capitale umano e competenze: un potenziale motore per la ulteriore crescita di una filiera dei saperi tecnici che potrebbe creare spillover importanti sullo sviluppo della città.