Le grotte

Insospettabile. Un luogo d’incanto e di incontri. Un luogo che si trova, appunto, in un canto della città, voltato l’angolo, più a est/sud-est rispetto a dove il porto volta le spalle al mare. Vive in una condizione sospesa, in faccia alle onde, contro una scogliera.

Il viaggiatore che arriva ad Ancona – da qualunque parte arrivi, anche dal mare – non lo vede. Deve prima raggiungere il Passetto, un rione cresciuto negli anni Sessanta, dove c’è il monumento in pietra d’Istria dedicato ai caduti della Prima guerra mondiale. E poi la sua spiaggia rocciosa, che fa parte del Parco del Conero. Bisogna scendere giù. Servendosi degli stradelli o di un ascensore, volendo.

E arriva la sorpresa: una serie di grotte vissute nei giorni di festa e nella bella stagione. Un’infilata di portoni. All’incirca centoventi. Un’immagine fortemente evocativa di un’altrove fantastico, qualcosa che sta fra i Caraibi e la Provenza.

È uno spazio per lupi di mare. Questo sono i grottaroli, uomini o donne che siano, vecchi o bambine, anche quando girano per le vie degli altri quartieri, dove pure vivono: marinai con la salsedine nel sangue, la pelle di squalo e il cuore che batte al ritmo delle onde.

Le grotte scavate dentro la roccia nell’arco di un secolo, fra metà Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento, erano usate in origine come ricovero per le barche, per lo più lance e batane con cui si andava a pesca e a raccogliere i moscioli. Tutto il materiale veniva portato a mano, ghiaia, cemento, mattoni. Con il passare del tempo, sono diventate ricoveri di frigoriferi, cucine e sdraio, un agglomerato di umanità, di vite e di storie. Una specie di seconde case. Un luogo di uomini trasformato e reso vivibile dalle donne, che fino al Dopoguerra qui non venivano.

Il sistema delle grotte rappresenta un’economia di sussistenza: la pesca come integrazione al lavoro dei campi. Non per niente i grottaroli, che da anni usufruiscono di queste strutture, passandosele di generazione in generazione, erano chiamati “i contadini del mare”.

Tutte sono dotate di porte e portoni, in fila, uno accanto all’altro. Sono una collana ben distesa di colori: blu, giallo, azzurro, marrone, ocra. E poi scale, cancelli, pedane, attrezzature per la pesca, pavimenti di mattonelle, arredi di recupero. Sono uno straordinario esempio di architettura inserita perfettamente nell’ambiente naturale. La si può visitare seguendo un percorso fra terra e mare che arriva fino alla “Seggiola del Papa”, una roccia con la forma di imponente sedile, e passa oltre.

A prima vista questo scorcio, che si trova giusto sotto le ripe di Gallina, in un territorio fatto di marna, appare come una installazione d’arte contemporanea, cui contribuisce la natura, con le sue piante là in cima, a far da capello, e il mare a dare movimento e azione.

Le regole del Parco del Conero impongono il rispetto e la conservazione delle grotte, stabilendo che non sia compromesso “il rapporto diretto delle grotte con il mare che costituisce uno straordinario esempio di integrazione tra uomo e natura”. Un pezzo di passato che resiste. Un modo antico di andare verso il futuro.

di Gian Luca Favetto