Presidente Sef Stamura

La mia è una storia di mare e di vela. Nasco in una famiglia stamurina, mio nonno Alessandro per molti anni è stato presidente della SEF Stamura, cioè della Società Educazione Fisica Stamura, oggi lo sono io. In città, in pratica, ogni famiglia ha uno stamurino. Per noi anconetani, la polisportiva Stamura fondata nel 1907 è un po’ la società che incarna lo sport. Ci occupiamo di judo, di vela e delle discipline dell’atletica esclusi i lanci, ma un tempo si praticavano anche canottaggio, pesi, basket, ginnastica artistica e rugby.

L’idea di base è che lo sport sia fondamentale per la vita di una comunità. Il nostro fondatore era un pediatra, Raffaello Della Pergola, e ha puntato sui principi educativi dello sport: rispetto verso gli altri, sana competizione e sorriso. Per questo una famiglia stamurina ha il senso della condivisione, della convivialità, il senso di appartenere a una collettività.

Dopo la fine della guerra siamo arrivati nel rivellino della Mole Vanvitelliana. La nostra casa è nel porto, che è il passo con cui la città entra nel mare: una propaggine di mare dentro la città, ma anche una propaggine di città che si allunga in mare. Un luogo di difficile ma possibile convivenza fra differenti realtà. Da qui, per tutta la mia vita da velista, sono uscito con le vele spiegate, partendo dalla Mole, cosa che adesso per le regole del porto non si può più fare.

A 10 anni mi hanno messo su una Optimist, in pratica un guscio di noce con la una veletta. E prima andavo in barca con mio padre. È in questo mondo che ho conosciuto gli amici di tutta una vita. In questo ambiente ci si affina insieme, si sperimenta, si condividono i valori dello sport, del mare, delle regate, delle trasferte.

È sempre stato il mio sogno quello di andare in barca. Alle medie e al liceo facevo regate a Genova, Venezia, Bari, Livorno, in Sardegna. Eravamo una decina di ragazzi. Dopo la scuola, se il tempo era buono, si usciva in mare con il nostro nostromo, Lamberto Giampieri, tre giorni la settimana, tre ore alla volta: era il modo di avere la propria libertà. Dopo il diploma ho partecipato anche a una campagna di Coppa America sul Moro di Venezia, a San Diego, facevo il grinder della randa, mi occupavo della vela grande. Allora pensavo proprio di fare il velista. Quando mi chiedevano che hobby hai, rispondevo: faccio l’Università.

Studiare e andare in barca, però, non erano compatibili. È stata una scelta sofferta, ma alla fine ho privilegiato lo studio: dopo un anno sono tornato per finire gli esami e mi sono laureato in Economia e Commercio con una tesi sul valore del marketing ambientale.

Adesso che sono commercialista, quando mi chiedono che hobby ho, sono costretto a rispondere: la vela. In realtà, andare a vela è un modo di vivere che ti segna e ti insegna. Sulla barca c’è totale condivisione: non importano professioni e conti in banca, si è tutti marinai. E in mare si stacca con la città, con il tuo tempo e il tuo fare. Non è una fuga, è un cambio di condizione che ti rigenera.

di Gian Luca Favetto