Un porto non è solo una infrastruttura, ma una intelligenza collettiva i cui componenti d’impresa e istituzionali definiscono agende di priorità per quanto riguarda le funzioni del porto rispetto al territorio. È un aspetto che a volte si racconta poco, ma che per Ancona ci pare interessante. Da una attività di ascolto svolta immediatamente prima dello scoppio della pandemia, sono emerse tre agende strategiche di priorità e azioni per il perseguimento di uno scenario auspicabile per il porto che a un anno di distanza paiono ancora attuali.
La prima suggestione, legge il futuro del porto come atelier produttivo, con una agenda della qualificazione e innovazione, individua per il porto del futuro il terreno prioritario della qualità del capitale umano, della crescita dei saperi, rappresentandolo come possibile motore dell’innovazione e qualificazione su più fronti: sul piano della tecnologia (con una grande enfasi sull’idea del porto 4.0 e dell’automazione dell’attività portuale), sul piano dell’innovazione e del ricambio generazionale e delle culture aziendali nel ceto imprenditoriale, sia sulle banchine che nelle filiere legate all’indotto manifatturiero e logistico. Ad Ancona il tema della qualificazione e dei saperi ha visto protagonista il porto come soggetto di governance insieme alle imprese (in primo luogo Fincantieri) e alle università del territorio nel segmento della cantieristica. È la visione di un porto snello, compatto, che se da un lato punta ad accrescere la sua competitività attraverso il ricorso all’automazione, dall’altro lato non punta a competere con i grandi scali gateways dell’industria containerizzata sui grandi numeri, ma cerca di qualificare le sua distintività, la flessibilità della potenziale risposta, rafforzando processi a più alto valore aggiunto.
Una seconda “agenda”, mette al centro le infrastrutture come motore di crescita delle economie territoriali, considerando prioritario per il futuro del porto l’intervento sui “blocchi infrastrutturali” fisici, interni alla piattaforma portuale ed esterni sulle connessioni ai corridoi infrastrutturali della mobilità. I “colli di bottiglia” sono considerati il principale ostacolo allo sviluppo. L’agenda infrastrutturale, è una sensibilità che accomuna con diversi accenti ed importanza un po’ tutti gli attori e mette al centro la risoluzione dei problemi viabilistici, il dragaggio dei fondali, costruzione di nuovi moli, liberazione di spazi fisici, ecc. come priorità per consentire ad un porto fisicamente “compresso” di decollare e attrarre flussi di merci e passeggeri. E’ l’agenda che più organicamente comporta la priorità complementare dell’apertura di una nuova fase di progettazione del porto con un nuovo Piano Regolatore portuale.
Infine una terza “agenda” definisce un sentiero di sviluppo del porto come autonomia funzionale che consente di trasformare la potenza dei big players delle reti logistiche ma soprattutto turistiche globali, in crescita delle economie territoriali legate alla valorizzazione del patrimonio culturale (turismo qualificato, food, ecc.). E’ la traiettoria provvisoriamente azzerata dalla pandemia, ma che rimane per il futuro con il porto che diventa il motore della crescita di economie leggere nella città e sul territorio, viene messo l’accento sulla formazione di uno spazio culturale e turistico “Adriatico” di dimensione almeno macro-regionale esteso nel retroterra ad una dimensione dell’Italia di Mezzo. Sono economie del benessere, servizi dell’accoglienza, beni culturali, qualità agroalimentare, attrattività turistica delle aree interne, turismo d’élite ad alto valore aggiunto, i driver che possono cementare una relazione positiva tra porto e territorio.