Che cos’è quella costruzione, quel muro, quella parete? Forse è un gioco? Una installazione d’arte? Una figura geometrico-esoterica, una sala parto di idee per il futuro? O una stella che si è spenta, è caduta nel mare ed è venuta ad arenarsi qui all’interno del porto? Che cos’è? Un magazzino, un luogo per la quarantena, un lazzaretto, una fortificazione che contiene l’odore umido dei secoli?
La leggenda, che gli uomini di solito scrivono come fosse la Storia, dice che è un edificio progettato all’inizio degli anni Trenta del Settecento dall’architetto Luigi Vanvitelli, realizzato in dieci anni su un’isola artificiale che ha forma di pentagono con una superficie di ventimila metri quadrati. Confidenzialmente chiamato il Lazzaretto, è conosciuto come Mole Vanvitelliana – d’altronde ad Ancona non esiste luogo che abbia un solo nome. Il canale che lo divide dalla terraferma, a cui è collegato attraverso tre ponti, è il mandracchio, riservato all’ormeggio delle barche. L’ultimo restauro è cominciato nel 1997.
Che cos’è dunque questa Mole, parto di una immaginazione ardita, questa terrazza sopra il mare, piattaforma e punto di fuga insieme?
A volte bisognerebbe guardare le cose con gli occhi del Piccolo Principe, lo spirito fanciullo che un abitatore del cielo come Antoine de Saint-Exupéry, trasvolatore e poeta, ha visto in ciascuno di noi e ha liberato in un libro.
Dunque, la Mole, progettata dall’illustre pittore e architetto Luigi Vanvitelli, maestro di Rococò, nato a Napoli da padre olandese, cresciuto a Roma, che ad Ancona ha sfogato il proprio talento ridisegnando l’arco portuale e realizzando il Molo Nuovo, la Porta Clementina, la Chiesa del Gesù che fa da specchio al porto, la cappella delle reliquie del Duomo di San Ciriaco, Palazzo Bourbon del Monte e la ristrutturazione della Chiesa di Sant’Agostino… Dunque, la Mole di Ancona è l’ancora del porto.
E qui bisogna scegliere dove mettere l’accento sul trisillabo ancora: sulla prima “a” o sulla “o”? È l’àncora del porto, nel senso che è l’elemento con cui il porto si lega alla città? – ma non è detto che non possa essere viceversa. Oppure è l’ancòra del porto, la continuazione del porto, che da un lato continua il mare e dall’altro continua la città?
Di sicuro può essere entrambe le cose. Ed è un arrocco di funzioni: oltre che magazzino, lazzaretto e avamposto, è stato ospedale, raffineria di zucchero, cittadella militare, deposito tabacchi; e oggi è uno spazio pubblico, un luogo di mostre e di eventi, di spettacoli e di idee. Un piccolo paesello, con strade, camminamenti, edifici, sale come piazze, uffici, foresterie, archi, porte, scale, un tempietto, anche un bar e un circolo sportivo.
È un ombelico per il porto e, al contempo, si percepisce come cerniera, come punto di condivisione spaziale e temporale: fra porto e città, ma anche fra passato e futuro – e la messa insieme di passato e futuro produce il presente che viviamo.
In tutti i casi, ha le caratteristiche di una struttura di congiunzione: funziona come attracco di pensieri, come teatro di storie, in cui la città si riconosce.
di Gian Luca Favetto