Architetto

La storia di una persona è la storia della famiglia in cui cresce, di tutte le cose che le succedono e di tutte le cose che fa. Io la penso così.

Ero una bambina normale che giocava spesso con i Lego, completamente affascinata dalla figura di mia zia Paola, che era architetto. Sognavo di diventare come lei. Passavo molto tempo nel suo studio, mi sembrava un luogo da favola, dove si poteva essere felici. Mi affascinava anche papà, naturalmente: si chiamava Claudio, ingegnere civile, ma nei miei ricordi lui era più un politico che un ingegnere, è stato sindaco di Ancona, ed è morto quando avevo dieci anni.

Quando muore papà, mi lego a mia zia, che diventa la mia ancora di salvezza. Faccio il liceo sicura che mi sarei iscritta ad Architettura, aspettando il momento di andare a Roma e di entrare all’Università a Roma. E così è accaduto. Gli anni di architettura sono stati molto formativi, a Roma era una vita molto differente dalla vita di provincia. Nel luglio del 1985 mi laureo con una tesi sull’arca di San Francesco alle Scale, la chiesa qui ad Ancona. Avevo idea di rimanere a Roma, ma zia Paola mi richiama all’ordine. C’era posto nel suo studio. Mio fratello era già tornato. Per una decina di anni, ho mantenuto i piedi in due città. Avendo anche sposato un romano, continuavo a frequentare Roma e lavoravo ad Ancona. Poi, a un certo punto, mi sono fermata qui.

La mia principale competenza è quella del restauro di beni culturali e di edifici vincolati. In più di trent’anni mi sono occupata del Teatro delle Muse, del campo degli ebrei e di molte ristrutturazioni di appartamenti.

Personalmente, del porto, diciamo che mi sono accorta da grande. Prima era soltanto il luogo dove a dodici, tredici anni prendevamo il traghetto per andare in Croazia. D’altronde, dopo il terremoto la zona è stata pericolante per un lungo periodo. Nella percezione della maggior parte degli anconetani era una zona dove non si andava: non c’era niente… Era come se, dopo il terremoto, la vita al porto, per la città, non fosse ripresa. Tutto si era spostato sul Viale, al Passetto, in piazza Cavour, in piazza Diaz. A fine anni Settanta è cominciata la riscoperta del centro storico e al porto proprio non si passeggiava. Non lo si conosceva e non lo si considerava.

Soltanto da adulta l’ho scoperto. Da quindici anni, ormai, vivo sopra Santa Maria della Piazza. Quando ho dovuto cambiare casa, ne ho scelta una da dove si vedesse il mare, un mare in attività, intendo. Prima non sentivo di averlo vicino. Ancona è una città di salite e discese che ti bloccano la vista e la riaprono in continuazione. Adesso, invece, dalle finestre di casa vedo il porto e quello che mi piace di più è proprio il porto del lavoro, il porto che si anima, gli arrivi, le partenze. Mi piacevano i silos, quando c’erano, e mi piacciono le grandi navi, i mercantili. Vedo il loro movimento dietro il campanile di Santa Maria, quando fanno manovra con la prua, poi si girano quasi come una danza e accostano a marcia indietro. Sono un paesaggio meraviglioso: danno l’idea di un luogo che vive.

di Gian Luca Favetto