Nostromo del porto

Se devo cominciare la mia storia dal porto, allora parto dal 1976, quando avevo 19 anni. Se dovessi andare ancora più indietro, cominciare da prima, beh, è complicata, meglio lasciar perdere… Sono figlio di un emigrante. Mio papà era calabrese, mia mamma campana. Si sono conosciuti a Buenos Aires, esattamente a Palomar, una cittadina che fa parte dell’area metropolitana della Grande Buenos Aires.

I ricordi di quel tempo, primi anni Sessanta, gli anni della mia infanzia, sono un po’ come dei lampi. Ricordo le battute di caccia nella pampa fuori Buenos Aires. Ricordo centinaia e centinaia di chilometri con niente… Immagina il nulla… Solo vacche, vitelli, lepri e, al fondo, una fazenda circondata da baracche: fuori, la miseria; dentro, il lusso sfrenato.

Quando ho sei anni, mio padre decide di tornare in Calabria, a Locri, anzi a Sant’Ilario dello Ionio. Sono cresciuto in quel paese, diventato famoso perché nel 1990 è scoppiata una faida di ‘ndrangheta durata dieci anni. Ho fatto le magistrali, perché a scuola bisognava pure andare, e poi sono partito militare. L’ho fatto in marina, qui ad Ancona. Sono arrivato nell’ufficio tecnico della Capitaneria il 31 luglio 1976. Ho fatto la rafferma e ho finito la carriera come maresciallo luogotenente. Nel 1993 vengo nominato nostromo di porto. Lo sono rimasto fino al 2016, l’unico in Italia a non essere mai stato trasferito.
Qui ad Ancona ho scoperto un’altra vita. Nessuno ti chiedeva chi eri, da dove venivi, a quale famiglia appartenevi: venivi accolto e basta. Rispetto a giù, si viveva rilassati, si poteva passeggiare tranquilli per tutta la città. Mi sono costruito una vita. Ho conosciuto Annamaria, che è anconetana, e dopo cinque anni di fidanzamento ci siamo sposati. Abbiamo due figli, una femmina e un maschio.

In Capitaneria ho cominciato come marinaio di banchina… Sei quello che va in giro per il porto a controllare navi, pescherecci, ogni cosa… Devi conoscere e sapere tutto quello che succede. Poi sono diventato secondo nostromo e infine nostromo titolare. Nei miei anni si è vissuto il trapasso delle competenze dalle capitanerie alle autorità portuali e anche il cambiamento totale di quel mondo che sono le navi passeggeri.

I comandanti del porto intelligenti si avvalgono sempre del nostromo, è il loro uomo di fiducia. Devi avere delle doti morali, le tentazioni sono tante. Il comandante deve potersi fidare del nostromo, che ha nelle sue mani tutta la gestione pratica del porto: la programmazione degli arrivi delle navi, il controllo dei lavori e dei portuali, i compiti di polizia, la viabilità per i camion. Ma il compito principe, se vuoi essere un buon nostromo, è di sapere tutto. Devi parlare con le persone per conoscerle. Devi sapere ascoltare e ti devi immedesimare nel lavoro altrui, capirne le problematiche. È un lavoro che ti assorbe completamente. Io ci ho vissuto qui dentro, nell’alloggio di servizio. E anche quando ho finito non me ne sono andato. Adesso aiuto mio figlio a gestire il ristorante Stamura. Il porto è stato la mia vita, mica la lasci la tua vita.

di Gian Luca Favetto