Capo pilota del porto

I piloti del porto sono dei consiglieri, degli ausiliari, dei suggeritori per i comandanti delle navi che arrivano e partono. Suggeriscono le rotte d’ingresso, perché conoscono bene la morfologia, i fondali, le correnti e i venti. Al tempo stesso, i piloti sono la longa manus della Capitaneria di porto: essendo i primi a salire, quando una nave entra, sono i primi che vengono a conoscenza di quello che succede a bordo… cose come avarie, disfunzioni tecniche… Siamo i primi a prendere le misure necessarie e a riferire alla Capitaneria, che rimane la custode della sicurezza del porto.

Io faccio questo. C’entra un po’ con la tradizione di famiglia. Mio nonno Augusto era un navigante, un caporale di macchina. Ha passato la vita sulle navi mercantili. Durante la guerra, il mercantile su cui era imbarcato è stato affondato davanti alle coste dell’Africa Orientale. Mentre mio padre Carlo lavorava come fonditore ai Cantieri Riuniti Alto Adriatico.

Siamo di Trieste. Siamo di Rena Vecia, la parte vecchia di Trieste. E a un certo punto siamo andati ad abitare di fronte al porto. Intanto, due giorni dopo che sono nato io, muore mia madre. Allora mi affidano agli zii, che mi accolgono come un figlio: mia zia la chiamavo mamma, mentre mio padre lo vedevo saltuariamente la domenica. Mi volevano molto bene, ma eravamo proprio poveri. Se ho un ricordo di quel periodo, è che avevo sempre fame.

Poi mio padre nel 1970 si risposa. Io allora avevo sette anni e ho iniziato un via vai tribolato fra due famiglie. Un giorno, un condomino del terzo piano mi regala “Cuore” di De Amicis. È il primo libro che leggo, all’età di otto anni. Ogni pomeriggio passavo da lui. Mi ha insegnato a collezionare i francobolli. Adesso uno non ci pensa più, ma i francobolli stimolavano la curiosità, spingevano ad approfondire gli argomenti, la conoscenza dei luoghi, gli avvenimenti storici. Così mi iscrivo in biblioteca e comincio a leggere libri di avventura: Emilio Salgari e Jules Verne. Tutto questo, più la fame, più la voglia di riscatto, mi fa scegliere gli studi nautici. Di notte studiavo, di giorno facevo sport, giocavo a calcio, terzino o ala sinistra.

Nel 1982 mi diplomo a faccio domanda per entrare all’Accademia navale di Livorno. Vengo destinato a La Spezia e mi imbarco sul cacciamine Loto. Dopo il congedo, inizia la mia carriera a bordo dei mercantili. Per dodici anni giro il mondo. Intanto mi sposo con Federica, nascono Natalie, Natascia, Margherita e io mi fermo. Faccio il concorso per pilota del porto, lo vinco e dal 1998 sono qui ad Ancona.

Sono triestino da sette generazioni e mi sento visceralmente attaccato alla mia città. Ma con gli anni ho scoperto un amore assoluto anche per quest’altra città, per queste persone e questo porto… Quando arrivando dall’autostrada scorgo le luci di Ancona e poi quelle del porto, provo le stesse emozioni e gli stessi sentimenti di quando percorro la costa per rientrare a Trieste. È una forma di nostalgia e di familiarità. È come casa. Ormai sono parte della vita del porto, di questo porto, fatto di belle strutture e di grande umanità.

di Gian Luca Favetto