Vista dall’acqua, Ancona è una collina, un inseguirsi di colline che da una parte entra in città e dall’altra scende con eleganza in mare, in questo continuo muoversi di onde, questo continuo mutar di cieli, che si fa specchio avvicinandosi all’approdo. Una città battigia, come soltanto le città–porto possono essere. È il loro destino, e contro il destino non si va, se si vuole rimanere sé stessi.

Un’apparizione di tetti rossi e facciate bianche, una tavolozza viva. Gru blu e grigie dai movimenti lenti e studiati che sembrano giganti giovinetti in duplice filar. Una barriera frangiflutto, un’altra, un’altra ancora. Il tutto dà forma a un abbraccio disteso e potente che puoi far cominciare alla Marina Dorica e finire al Molo Nord, all’Imboccatura. Dietro, ci sono i condomini, le strade, i binari della ferrovia e la Stazione, la via Flaminia. Ancora oltre, la Posatora, Piano San Lazzaro, Vallemiano, Borgo Rodi, Palombina, il Centro storico, il Passetto, Pietralacroce: li sai, i quartieri, anche se non li vedi; percepisci rumori e suoni, il brulicare della città: li senti premere sul fronte, sulla fronte del porto, che, con il suo gomito, è la vera faccia della città.

Una lunga passeggiata con gli occhi da sud sud–ovest a nord nord–est. Un collage di sguardi e di immagini. Marina Dorica, una foresta di alberi bianchi piantati nell’acqua in attesa di vestirsi di fronde, quando, ritirando le radici a bordo, lasciano il rifugio dai venti di tramontana e levante, aprono le vele e cominciano a pescare le onde. La Darsena, con i grandi cantieri degli yacht, delle imbarcazioni da diporto, con i capannoni che sono scrigni da cui fuoriescono gioielli. La Vasca di colmata, che contiene i fanghi e la sabbia dei porti che ricadono sotto la giurisdizione di Ancona. La Zona industriale, zona container, con la banchina Marche che la gente qui chiama Banchina 26. Il Lazzaretto, con il mandracchio dove ormeggiano i battelli e il mercato ittico. Alle spalle, l’arrocco di case, campanili, cupole, occhi come finestre, nasi come balconi, torri, tetti e, a sinistra, la dolcezza sicura di San Ciriaco con il campanile che fa da avanguardia e la grande ombra del Cardeto. Più in là, a chiudere la visione, l’imponenza di Fincantieri con la gru a carrello rossa e bianca che sembra una cornice e, al tempo stesso, una porta.

L’Imboccatura, infine, con le sue banchine, la lanterna verde e la lanterna rossa, il porto Romano, il porto Antico, il molo Rizzo, il molo Santa Maria, il Terminal crociere. E le grandi navi, e i traghetti che visti da terra sono immensi, visti dal mare sono cigni, pulcini. Hanno nomi che sono versi, Jadrolinija, Adria, Anek, Snav, Grimaldi, versi come suoni e direzioni, rotte.

Ogni rotta è uno scalino da salire assalire assaggiare annusare sulla pianura a onde del mare. Hanno i colori che, insieme, sono arcobaleno, blu giallo rosso arancio verde bianco, colori e motori che macinano cammini. Le grandi navi, i traghetti, sono il tramonto e l’alba del porto.

Di Gian Luca Favetto