I porti non sono semplici nodi di reti logistiche globali, sradicati dai contesti locali: salvo rare eccezioni essi sono parte dell’industria di un paese o di un territorio. La politica portuale è a pieno titolo politica industriale. Anche nel caso di Ancona le specializzazioni merceologiche del porto hanno seguito l’evoluzione delle filiere distrettuali, dal mobile alla meccanica. Il rapporto tra capitalismo manifatturiero e porto, è questione tanto più rilevante oggi che la tempesta pandemica ha pressoché azzerato i flussi turistici e la residua attività anche nella fase 2 poggerà quasi esclusivamente sull’andamento dei flussi di merci in imbarco e sbarco. Per questo, la tenuta dei flussi di import-export legati alle catene del valore globali, rappresenta per il porto di Ancona una variabile centrale. Un punto di osservazione interessante, riguarda l’utilizzo del porto da parte del tessuto di medie imprese internazionalizzate che costituisce un target importante per lo sviluppo delle reti logistiche e dei traffici portuali. L’organizzazione produttiva a rete con unità delocalizzate e la proiezione sui mercati internazionali, ha incrementato la domanda di logistica a rete lunga di questo fondamentale segmento di imprese e con essa l’economia portuale. Come ovvio, in parte l’utilizzo dello scalo dorico, dipende dal posizionamento dei mercati di riferimento delle imprese e dalle modalità di trasporto (tutto strada o miste). Ancona viene utilizzata sull’export per la qualità dei collegamenti su uno spazio di globalizzazione a medio raggio sulle direttrici adriatiche, Grecia e Albania, e per l’area dei traffici verso il Mediterraneo Orientale e la penisola arabica, con un ruolo forte della rete feeder da Trieste e Venezia. Nel decennio della crisi l’utilizzo dello scalo dorico è rimasto invariato per quanto riguarda l’export, mentre si è invece rafforzato per quanto riguarda l’import e i flussi di beni intermedi e semilavorati provenienti dagli impianti a suo tempo delocalizzati. Le caratteristiche più apprezzate dalle imprese intervistate nel corso della nostra ricerca, sono la vicinanza geografica agli stabilimenti locali per quelle imprese che ancora situano la gran parte della produzione sul territorio e la flessibilità delle procedure, la qualità e la professionalità di agenzie e imprese di caricamento, ovvero la presenza di un tessuto di operatori logistici dotati di reti in grado di accompagnare la merce sui mercati internazionali. Quali sono invece le criticità che a volte convincono le aziende a spostare flussi logistici su altri porti anche se più lontani? Al di là dell’aspetto geografico, un punto critico è l’assenza di collegamenti più diretti su grandi rotte con le principali destinazioni: il solo traffico feeder per alcuni imprenditori crea ritardi nell’arrivo e disponibilità della merce. La seconda criticità, legata alla prima, riguarda tutti quei nodi infrastrutturali che se non risolti, scoraggiano l’utilizzo di Ancona da parte delle grandi compagnie di carrier marittimo. C’è poi un secondo punto interessante nel legame del porto con il suo retroterra: una piattaforma della conoscenza e dei saperi che lega le università all’industria portuale sul piano della formazione di saperi, competenze e professionalità, nella ricerca di soluzioni che aiutino le filiere portuali a costruire innovazioni e qualità del servizio che consenta allo scalo nel suo complesso di scalare la filiera del valore e di attrarre traffico. Un punto indubbiamente importante già avviato e da rafforzare.